FINESTRE NELL’ARTE

Il percorso dell’arte del Novecento è costituito di tappe che hanno segnato il progressivo annullamento dei canoni fondamentali della pittura tradizionale, riassumibili nel principio della verosimiglianza dell’immagine rispetto alla realtà attraverso la prospettiva, la fedeltà plastica e coloristica. Dall’Impressionismo in poi, la storia dell’arte ha progressivamente rinnegato questi principi, portando la ricerca pittorica ad esplorare territori che, fino a quel momento, sembravano posti al di fuori delle regole.

L’Espressionismo aveva ribaltato quei canoni in nome della necessità dell’espressione delle istanze interiori dell’artista. Il cubismo porta alle estreme conseguenze la demolizione del principio fondamentale dell’arte accademica: la prospettiva. Già nel periodo post-impressionista, colui che volutamente deforma la prospettiva è Paul Cezanne. Le diverse parti che compongono i suoi quadri sono quasi tutte messe in rapporto prospettico, ma da angoli visivi diversi, demolendo quello che è il principio fondamentale della prospettiva: l’unicità del punto di vista. Picasso, meditando la lezione di Cezanne, porta lo spostamento e la molteplicità dei punti di vista alle estreme conseguenze. Nei suoi quadri, le immagini si compongono di frammenti di realtà, visti tutti da angolazioni diverse, e assemblati in una sintesi simultanea del tutto originale. Nella prospettiva tradizionale, la scelta di un unico punto di vista, imponeva al pittore di guardare solo ad alcune facce della realtà. Nei quadri di Picasso, l’oggetto viene rappresentato da una molteplicità di punti di vista, così da ottenere una rappresentazione «totale» dell’oggetto.

FINESTRE CON NATURE MORTE CUBISTE

Quest’opera di Picasso fa parte di una serie di una ventina di nature morte con composizione simile eseguite dall’artista tra il 1919 e il 1920, durante e in seguito a un soggiorno con la sua prima moglie, la ballerina russa Olga Koklova, a Saint-Raphaël sulla Riviera francese

Pablo Picasso – La table devant la fenetre, 1919

In queste nature morte Picasso continua ad esplorare la rappresentazione del guéridon (il tavolino di servizio a tavola), di solito posto di fronte a una finestra e accoppiato con un assortimento di oggetti tra i quali non manca mai la chitarra. La natura morta, d’altra parte, era il genere che meglio si prestava all’analisi cubista sui principi strutturali delle forme solide composte in uno spazio concreto e disciplinato.

Al contrario delle nature morte eseguite prima del 1919, rese in ambienti chiusi, dove il guéridon veniva collocato contro pareti o tende, in questa serie invece compare il tema della finestra, elemento che appartiene a una lunga tradizione di teoria pittorica e che costituisce la metafora della pittura stessa

Si noti come in questo dipinto gli elementi rimangono riconoscibili; alcuni di essi, come la finestra e la ringhiera del balcone sono raffigurati in maniera del tutto naturalistica. Nel 1917 infatti, Picasso era stato a Roma e questo soggiorno aveva determinato l’incontro dell’artista con la pittura rinascimentale italiana, che lo porta a quella radicale svolta stilistica del “Periodo Classico”, seguito a quello del Cubismo analitico e del Cubismo sintetico.

Questa serie di tavolini, se esaminata nel suo insieme, è indicativa proprio di questa evoluzione nella pittura di Picasso, dove gli elementi del cubismo sintetico (scomposizione della realtà, mostrata simultaneamente da molteplici punti di vista, importanza dei colori, semplificazione delle composizioni), vengono coniugati con la classicità, cioè con la ripresa di elementi naturalistico-figurativi e temi della tradizione.

Il periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale segna una grande di diffusione del Cubismo ed è questo tuttavia il periodo in cui i suoi fondatori si pongono alla ricerca di nuove forme espressive. Picasso non abbandona le sperimentazioni cubiste, ma non avverte più l’assillo di indagare i problemi formali e spaziali complessi che lo preoccupavano dieci anni prima e si sente libero di spaziare altrove.

Sarebbe troppo lungo l’elenco degli artisti che hanno lavorato sul tema delle nature morte alla finestra.

Sempre in ambito cubista, di pochi anni prima era stato un dipinto di Juan Gris.

Juan Gris – Natura Morta davanti a una Finestra aperta, 1915, Place Ravignan, Philadelphia Museum of Art

Negli anni precedenti (e anche in quelli successivi) questo è un motivo su cui si muove a più riprese l’opera di Henri Matisse. Da Gauguin a De Chirico, da Masson a Guttuso, il binomio natura morta/ finestra ha sempre permesso di mettere insieme l’istanza del paesaggio (che indirizza lo sguardo verso un punto di fuga esterno al quadro) con quello della natura morta, che si struttura su forme spaziali completamente diverse.

La natura morta è un tipo di rappresentazione pittorica che consiste nel ritrarre oggetti inanimati: frutta, ori, pesci e selvaggina morta, libri e strumenti musicali, e oggetti di vario tipo. L’espressione natura morta deriva dal francese nature morte, che fa la sua apparizione intorno alla metà del XVIII secolo. Fino a quel momento il genere pittorico in questione veniva indicato con un termine che signi ca ‘natura immobile, silenziosa’: Stilleven (olandese), Stilleben (tedesco), Still-life (inglese).

Si tratta di espressioni che implicano un giudizio di valore negativo rispetto alla ‘natura vivente’ della pittura che ha per protagonista l’uomo (pittura di storia). Da questo punto di vista, il suo destino è analogo a quello della pittura di paesaggio e della scena di genere (che raffigura la vita quotidiana della gente comune), che si affermano  come ambiti autonomi nel Seicento e che gli accademici relegano negli strati più bassi della gerarchia dei generi pittorici, ai vertici della quale c’è la pittura storica, che attinge alla storia sacra, alla mitologia, alla letteratura, e che ha quindi per protagonista l’uomo (non quello comune, ma l’eroe, il condottiero o l’uomo di potere) e le sue azioni valorose, esemplari e di pubblico interesse.

Moltissimi quadri sono pieni di oggetti inanimati, che tuttavia non sono nature morte. Per diventarlo, gli oggetti devono essere allestiti secondo precise regole illusionistico-spaziali. Ciò che salta subito agli occhi nella costruzione spaziale della natura morta è l’eliminazione degli artifici prospettici, in particolare la negazione della profondità. Questo avviene sia mediante la scelta del punto di vista ravvicinato, sia mediante l’eliminazione del fondo come spazio in infinito. La natura morta, rinunciando alla profondità prospettica, costruisce una sistema di “sguardo” dello spettatore meno rigido e vincolante di quello prospettico e gli permette di collocarsi nello spazio in modo più elastico.

Sebbene esempi di natura morta si sono susseguiti dall’antichità in poi, essa si con gura come genere pittorico autonomo solo nel XVII secolo. Oltre alla natura morta, in questo secolo si configurano come generi autonomi anche la pittura di paesaggio e quella d’interni. Tutti e tre questi generi seguono anche delle regole ben precise. Tra queste si configurano  degli espedienti “spaziali” di rappresentazione: la natura morta è collegata a una superficie su cui gli oggetti sono disposti, ad esempio un tavolo, il paesaggio è spesso messo in relazione con una finestra, come strumento di creazione di profondità, la veduta di interni è messa in relazione con una porta.

Questi dipinti che mettono le nature morte davanti a una finestra rappresentano dunque un gioco tra i generi e la ricerca di un rapporto tra due diverse organizzazioni dello spazio (il tavolo e la finestra, la frontalità schiacciata della natura morta con la profondità prospettica del paesaggio), tra loro opposte.

Juan Gris – La fenêtre ouverte, 1921

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